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La stampa letterpress è una palestra per i lavori digitali

Sabato 21 Marzo, insieme ad altri 9 coraggiosi (e più giovani di me!) designer, ho partecipato ad un workshop di stampa letterpress presso la splendida Officina 9pt di Milano. Conoscevo già la stampa letterpress, ma fino ad allora avevo soltanto provato a stampare tramite cliché, mai usando i caratteri mobili. L'esperienza è stata straordinaria: e ho realizzato quanto inchiostri, tipi, tipometri e tirabozze possano insegnare anche a chi, come me, crea e impagina ormai esclusivamente in digitale. Condivido con voi queste lezioni: ma l'invito che vi faccio è quello di chiamare qualcuno di questi laboratori vintage (oltre a Officina 9pt mi vengono Lino's Type a Verona, Anonima Impressori a Bologna, Archivio Tipografico a Torino, la Tipoteca Italiana a Cornuda – ma basta cercare, ne troverete altri) e passarci una giornata – per navigati che possiate essere, vi assicuro che imparerete cose sorprendenti. Ecco cosa ho imparato io:

 

Il progetto nasce in testa

Usando i software, ogni modifica è questione di pochi clic. Comporre a mano insegna invece a non procedere per tentativi, ma a pensare prima di provare. Il progetto deve nascere in testa, perché una volta passate due ore a comporre una pagina, è impensabile voler cambiare carattere: equivarrebbe a buttare il lavoro fatto e ricominciare daccapo. Usare i caratteri mobili insegna a ragionare profondamente sul progetto, prima ancora di iniziare a scegliere gli elementi. Ogni scelta sarà decisiva e, non esistendo cmd-z, ogni azione è difficile da annullare.

 

Vedere prima di vedere

Nella stampa letterpress manca completamente una Visualizzazione Anteprima: per vedere il risultato finale avete due soluzioni – aspettare o immaginare. Comporre a mano significa allenare la nostra visione a vedere il prodotto finito ore prima di poterlo toccare davvero. Significa visualizzare in testa un progetto prima ancora di scegliere caratteri, margini e posizioni: significa procedere decisi, rispettare la propria visione, avere il coraggio di decidere di cambiarla in corso d'opera, non concedersi spazio per improvvisare.

 

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Il carattere al centro del progetto

Lavorare esclusivamente con i caratteri e non con cliché di grafiche personalizzate può sembrare un limite: in realtà è una lezione incredibile. Vi permette di concentrarvi davvero sul carattere, perché i glifi diventano gli unici elementi con cui lavorare. Portare al centro della creazione i caratteri è decisivo: insegna a dare il giusto peso a forme e posizione delle lettere – forzando le interazioni, gli allineamenti, la crenatura – senza poter ricorrere a foto, illustrazioni, elementi vettoriali.

 

L'importanza del bianco

Siamo partiti scegliendo un carattere e componendo una citazione: ma una volta preparata la forma positiva, è stato necessario riempire tutti i vuoti fino a limiti della tirabozze. Un lavoro enorme: usando righe, spazi e margini, la forma è stata bloccata in posizione. Usare le marginature è una questione di calcolo: bisogna conoscere in ogni momento la misura del foglio e l'ingombro di ogni riga, per calcolare esattamente i margini mancanti e inserire righe, mezze righe e doppie righe di lunghezze diverse. Questo dimostra quanto siano importanti i contrografismi e lo spazio bianco nel design: una volta composta l'intera forma, è stato facile accorgersi che la quantità di elementi spaziatori sul tavolo era di gran lunga superiore ai caratteri.

 

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Imparare a misurare

Componendo si impara quanto la proporzione tra gli elementi sia fondamentale: un margine per un carattere corpo 36 su un foglio largo 40 centimetri non può essere casuale. Bisogna scegliere gli spazi corretti, ricordare il mantra che una riga misura 12 pt, e rapportarsi sempre alla dimensione dei caratteri e alla dimensione totale del foglio. In InDesign lo strumento Misura c'è, ma credo sia tra i meno usati del pianeta: in digitale cambiare e regolare la proporzione tra gli elementi è incredibilmente facile. In letterpress servono calcolo e previsione.

 

Non smettere mai di controllare

Dopo due ore e mezzo a comporre la pagina, abbiamo finalmente iniziato a stampare. Nonostante avessimo verificato la forma innumerevoli volte, al primo foglio abbiamo scovato l'errore: una l minuscola era girata al contrario. I mistype si annidano ovunque (anche nelle comunicazioni di un evento mondiale come Expo2015, come sappiamo), nel digitale e nell'analogico. Non fidatevi mai e controllate, controllate, controllate in continuazione.

 

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Organizzazione maniacale

Un laboratorio di stampa letterpress è solo apparentemente disordinato: in realtà, ogni cosa è al suo posto. Terminata la stampa, c'è voluta più di un'ora per pulire gli elementi e rimettere ogni cosa al suo posto. Immaginate cosa può voler dire aprire un cassetto e trovare centinaia di minuscoli caratteri alla rinfusa: un disastro. Ogni cosa dev'essere al suo posto, facilmente rintracciabile e recuperabile all'occorrenza. Imparare ad organizzare il proprio lavoro – sistemando in cartelle finite i progetti, archiviando le mail dei clienti, organizzando i file per logica e non con nomi improbabili tipo def_okokokok_finale_ultimo.indd – è fondamentale.

 

Al di là di questo, comporre e stampare in letterpress è un lavoro incredibilmente zen. Richiede pazienza, calma, ragionamento, immaginazione. Non lascia spazio all'improvvisazione, se non richiedendo tempo per risistemare la forma. Non permette di vedere mai il lavoro finito finché non si comincia a stampare. Dà la fortissima sensazione, a noi figli (oddio, nel mio caso diciamo "zio") dell'era digitale, di creare davvero qualcosa, qualcosa di fisico, materiale, che si può toccare, annusare, soppesare.