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Matthew Carter: morirò lavorando

Matthew_Carter

Su MyFonts.com è appena uscita una splendida intervista al grandissimo Matthew Carter, che molti conoscono soprattutto per i caratteri Verdana e Georgia, ma che ha nel suo archivio altre produzioni famose come Tahoma, Galliard, Skia, Bell Centennial e Snell Roundhand. L’intervista è lunga e in inglese, vi riporto tradotti alcuni dei passaggi più belli – ma vi consiglio fortemente la lettura completa: probabilmente Carter è, con Spiekermann, uno dei type designer più loquaci e in gamba di sempre.

 

Una passione nata quasi per caso.

A 18 anni passai gli esami per studiare Letteratura Inglese a Oxford. Tuttavia, non potei iniziare immediatamente l’università. Fino a metà degli anni ’50, i ragazzi erano obbligati a prestare due anni di servizio militare; io fui tra i primi ad usufruire della riforma per la leva non obbligatoria, ma l’Oxford College non era ancora preparato ad accogliere ragazzi di due anni più giovani del solito, quindi mi dissero: veniamoci incontro, tu per un anno fai qualcos’altro, poi potremo prenderti al college. Mio padre era un caro amico di Jan Van Krimpen della tipografia Enschedé, così nel 1955 iniziai uno stage gratuito di un anno presso di loro ad Haarlem in Olanda. L’idea era di provare un po’ tutti i dipartimenti dell'azienda, ma iniziai in quello tipografico, ci presi gusto e stetti lì l’intero anno.

Curioso come un anno che sarebbe dovuto essere una perdita di tempo si trasformò nel mestiere della mia vita: quando fu il momento di entrare ad Oxford, decisi che non l’avrei più fatto. Così cominciai a lavorare per conto mio. Presto divenne chiaro che la vita del type designer freelance non pagava: feci qualche lavoro per Monotype e un paio di altre fonderie, ma alla fine fui costretto a spostarmi a Londra alla fine dei '50. A quel tempo a Londra era attiva una comunità di designer che, sebbene vicini ai lavori contemporanei di Svizzera, Giappone e Stati Uniti, affrontavano il problema del conservatorismo inglese nei confronti dei nuovi caratteri. Anche se Helvetica era stato disegnato nel 1957, nel 1961 non ce n’era traccia a Londra. Quindi, a metà dei ’60, mi spostai negli Stati Uniti.

Arrivai a New York e in pochi giorni scoprii di essere un perfetto ignorante. Fu un vero shock. Visitai gli studi di Herb Lubalin (il signor Avant-Garde) e Milton Graser (quello dell'iconico I Love New York) così come il Type Directors Club e Linotype New York. Scoprii di avere due possibilità: tornare a Londra e fingere che non fosse successo niente, o restare a New York, il posto dove giocare le mie carte. Così feci. Nel settembre 1965 mi trasferii definitivamente a New York per lavorare come designer a Linotype, dove lavorai per 15 anni, fino ad aprire Bitstream con Mike Parker e infine propormi come type designer indipendente.

Bell Centennial e il lavoro manuale.

Bell Centennial fu commissionato da AT&T. Negli anni ’30 Linotype aveva creato il Bell Gothic per gli elenchi telefonici. a metà dei ’70, però, AT&T aveva iniziato a sperimentare alcuni strumenti pioneristici di digital-typesetting e Bell Gothic iniziò ad avere alcuni problemi nella sua versione digitale. Così dissero a Linotype: è tempo di un restyling. E io ebbi il mio primo grande lavoro.

Bell Centennial, a differenza di altri lavori precedenti, doveva essere digitalizzato. Oggi si disegnano i tracciati e si convertono elettronicamente in bitmap per la composizione digitale. Ma al tempo non c’erano software del genere, e feci tutto a mano. Mettevo ogni singolo disegno su un foglio di carta millimetrata e disegnavo ogni singolo pixel prima di digitalizzare il tutto. Per ogni quadrato della griglia: on, off, eccetera. In pratica ho digitalizzato a mano ciascun glifo di ogni singola variante della famiglia Centennial. Fu un lavoro enorme, ma imparai moltissimo.

BellCentennial

Georgia, Verdana e la polemica IKEA.

Disegnai Georgia e Verdana quando le risoluzioni dei monitor erano molto più basse di oggi. L’evoluzione forse non è stata enorme, ma le tecnologia di rendering e anti-aliasing, al tempo, erano molto più scarse. A metà dei ’90, Verdana e Georgia erano bitmap binari: ogni singolo pixel era on o off, nero o bianco. Quindi Microsoft voleva un lavoro perfettamente ottimizzato per lo schermo. Per i successivi 15 anni, tutti gli web designer mi hanno odiato, perchè Georgia e Verdana erano tra i pochi font selezionabili per Internet. Ma è interessante notare che sono sopravvissuti, anche quando non esistono più i vincoli tecnici che li rendevano fondamentali.

Da quando ci fu tutta quella polemica per il passaggio di carattere nei cataloghi IKEA (da Futura a Verdana) – passaggio con il quale non ho mai avuto nulla a che fare – la gente continua a chiedermi spiegazioni a riguardo. E finisce sempre che qualcuno dice: “Sai, hai fatto male, ho firmato una petizione per tornare al Futura”. Mi danno colpe per cose che non ho fatto. Credo ci sia stato un grosso fraintendimento a riguardo. Quando chiedo perché di tutta questa ostilità verso Verdana, di solito mi rispondono che “Verdana è un font per lo schermo, non per la stampa”. E io dico: ok, beh, apri il tuo catalogo IKEA e guarda, è in Verdana… come fai a dire che è un font solo per lo schermo? La gente dice così solo perché gli è stato detto. Alcuni studenti mi hanno chiesto: “Il mio professore mi ha detto che Verdana e Georgia non si possono usare in stampa perché sono font per lo schermo, ma io ho provato e funzionano benissimo”. E posso solo dire: grazie! Vai avanti così!

Certo, ci sono alcune peculiarità di Verdana che posso spiegare. Ad esempio, la variante grassetto è più bold della maggior parte degli altri bold perché sullo schermo, quando fu disegnata, l’unico modo per avere un’asta più spessa di un pixel era passare a due pixel. Un salto di peso che non è standard in stampa. Ma forse era quello che cercavano in IKEA: quando usano il Verdana Bold a piccoli corpi, vedi bene la differenza.

Le spalle dei giganti.

Penso che esistano due tipi di type designer. Del primo tipo fanno parte persone come Gerard Unger, così come Frederic Goudy o Hermann Zapf. Li invidio, perché il loro genio fa in modo che ogni singolo carattere che disegnano trasudi la loro personalità. Se Gerard disegnasse un nuovo carattere e io lo vedessi per la prima volta su un giornale o una rivista, sono certo che lo riconoscerei come suo. Io non ho questo tipo di genio, sono più un camaleonte che entra nella testa degli altri designer. Per me è facile – più di quanto non lo sia per Unger, Goudy o Zapf – capire e interpretare e rivisitare lo stile di qualcun altro (come nel Big Caslon). È interessante, perché credo che nel nostro lavoro siamo sempre arrampicati sulle spalle di un gigante; e se c’è una giustificazione per questo, è che ci permette di vedere più lontano.  Quindi se mi chiedete se vedo un filo che collega, per esempio, Snell Roundhand e Verdana, posso dire: io non lo vedo. Ho disegnato entrambi i caratteri e a loro modo li ritengo buoni per il loro scopo. Per questo amo imbarcarmi in progetti che non ho mai affrontato prima, sono una sfida per me.

76 e non sentirli.

Non ho nessuna voglia di andare in pensione. Voglio dire, non saprei che altro fare. Ho 76 anni, non ho certo l’energia che avevo quaranta o cinquant’anni fa – non riesco più a lavorare tante ore consecutive come una volta. Ma non ho mai perso la passione per il mio lavoro. Sono stato socio o freelance per così tanto tempo, che per me è difficile smettere di lavorare. Quando lavori per conto tuo, nessuno può dirti quando ritirarti. Per questo il mio piano pensionistico è la morte, haha. Non male chiudere l’intervista così, non credi?