L'Ordine dei Graphic Designer
Notai, ingegneri, chimici, avvocati, architetti, medici, veterinari, farmacisti, giornalisti: cos'hanno in comune queste professioni? Per svolgerle nella piena legalità, i professionisti hanno l'obbligo di essere iscritti ad un Albo presso il relativo Ordine Professionale. L'Ordine, secondo la legge italiana, ha il preciso scopo di tutelare i cittadini rispetto alle prestazioni di determinate professioni che essendo di tipo intellettuale, non sono sempre valutabili secondo standard rigorosi. Per iscriversi ad un Ordine occorre normalmente superare un Esame di Stato ed aver conseguito una Laurea o un Diploma specifico; alcune categorie prevedono anche delle ore di tirocinio professionale.
In questi giorni (anche se la proposta di legge è addirittura del 2008) in Parlamento si sta discutendo una norma volta a tutelare in qualche modo tutte le professioni che oggi non sono organizzate in Ordini ma che, allo stesso modo, vendono idee e non cose: si parla di circa 200 professioni in Italia, tra cui fisioterapisti, consulenti fiscali e, ovviamente, anche pubblicitari e graphic designer. Nel testo presentato all’assemblea legislativa si legge:
Alla luce delle recenti norme europee, si propone quindi un sistema che sia "caratterizzato dall’estensione della legittimazione allo svolgimento delle attività professionali, basata sull’attestazione e la certificazione delle competenze, e della conseguente organizzazione della rappresentanza su base associativa, mediante strutture di diritto privato.” Insomma: non è detto che avremo un Ordine dei Grafici. Per garantire un servizio corretto al cittadino, la nostra professione si potrà insomma "organizzare" in forme associative riconosciute con diritti e doveri simili a quelli degli attuali Ordini Professionali. E quindi: le attuali associazioni di categoria (AIAP, ACPI, TP, UniCom, per citarne qualcuna), che fine faranno? Si unificheranno nel nuovo Ordine Professionale? Spariranno per lasciare nuovo spazio a nuove realtà giuridiche?
È una vita che sostengo una dura battaglia contro i presunti designer, i ragazzini smanettoni e tutti quelli che, solo perché hanno una copia pirata di Photoshop, si spacciano come progettisti grafici. Non posso quindi che applaudire l'idea di definire con precisione le competenze professionali minime necessarie; e di impedire a chi non sia iscritto all'Albo di svolgere la professione.
Tuttavia, se nei criteri minimi ci saranno Lauree o Diplomi di settore, temo che una bella fetta di attuali designer saranno costretti a chiudere. Io per primo: ho una Laurea in Filosofia e non ho mai fatto un'ora di lezione allo IED. Tuttavia, dieci anni di professione dovranno pure avere il loro peso, mi auguro.
Ancora: non per fare il solito disfattista, ma quante possibilità ci sono – nel momento in cui si stila una graduatoria di punteggio dell'Esame di Stato – che ci si compri l'abilitazione? Che l'esame sia truccato e manipolato? E l'introduzione di un Esame di Stato, può in qualche modo vincolare il numero massimo di abilitazioni concesse ogni anno? E l'iscrizione all'Ordine una volta superato l'Esame, si trasformerà nell'ennesimo latrocinio?
Il prezzario delle prestazioni è un altro punto che mi lascia perplesso. Ricorderete senz'altro la recente sentenza dell'Antitrust che giudicava colpevole di "abuso di posizione dominante" il tentativo di ACPI di proporre una guida alle tariffe della pubblicità. E avrete senz'altro anche voi avuto a che fare con casi in cui vi vengono richiesti costi minimi e budget all'osso (un esempio? Di recente ho rinnovato interamente l'immagine di una Cooperativa Sociale che si occupa di portatori di handicap: è ovvio che a loro ho fatto ben volentieri un prezzo di favore). Ora: se il tariffario propone una forbice troppo stretta, rischia di tagliare fuori casi come quello appena citato, e quindi trasforma automaticamente in illegali e non valide le fatture emesse a proposito; se invece la forbice di prezzi è troppo larga, lo strumento rischia di diventare inutile.
Quanto alle tutele: se il tariffario può essere utile, lo sarebbe ancor di più una rappresentanza forte e unita (e già che ci siamo, riconosciuta giuridicamente) in grado di sottoporre ai Governi le istanze dei designer: in temi di contratti, pressione fiscale, pensioni, start-up, giovani professionisti, formazione. Non dimentichiamo che gli Ordini Professionali hanno un consiglio direttivo, un presidente, un tesoriere, un segretario, appositi uffici e, spesso, una cassa di previdenza.
Insomma, sono combattuto tra mille dubbi e paure – dettati non tanto dalla proposta in sé, che giudico più che opportuna, ma dalla consuetudine italiana. L'Albo dei Farmacisti o dei Giornalisti (non me ne vogliano gli appartenenti ai rispettivi Ordini) sono spesso citati come luoghi di potere silenzioso ma temutissimo; di affari sottobanco, di scambi e strizzate d'occhio, di strette di mano e accordi con l'occhiolino.
Il momento è critico per la nostra professione. La scelta sembra ridursi a questo: restare dove siamo e lottare per non sembrare eterni dilettanti, o finire imbrigliati nelle spire della politica lobbista e burocratica degli Ordini Professionali.
Mi piace pensare che, sulla lunga distanza, sarà la qualità di quello che siamo come professionisti a darci ragione. Speriamo sia vero.