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La creatività non è un momento di genio improvviso

Secondo Google, la parola creatività sul web appare una volta ogni 70.000 parole. Un'enormità, soprattutto se consideriamo che il termine fu inventato solo nel 1926 da Alfred North Whitehead e che negli ultimi anni ha avuto una preoccupante impennata di utilizzi.

Il suo significato percepito è in buona parte sbagliato: si tende a credere infatti che un creativo sia una persona che, mentre non pensa ad un problema da risolvere (è la cosiddetta "fase di incubazione"), riceve d'improvviso la soluzione a quel problema in un improvviso momento di illuminazione ed epifania involontaria. Mozart, in una lettera del 1815, di sé diceva più o meno:

Quando sono concentrato e di buon umore, le idee scorrono abbondanti nella mia mente. Sono già tutte pressoché complete. Quando scrivo, tutto è già quasi perfetto, e raramente il risultato è diverso da com'era nella mia immaginazione.

 

 

La creatività non esiste?

Il problema è che la creatività è ancora una materia oscura per la psicologia, nonostante centinaia di esperimenti in proposito condotti negli anni.

Nel 1920, Lewis Terman tentò un esperimento a Stanford per dimostrare l'esistenza e l'ereditarietà del genio. Analizzò 168.000 ragazzi, identificò con dei test 1.500 "geni" e seguì la loro evoluzione per buona parte degli anni successivi. Solo pochi di loro finirono a fare mestieri creativi. E riguardo gli oltre 166.000 considerati "non-geni"? Beh, due di loro (William Shockley e Luis Alvarez) vinsero un Premio Nobel.

Cinquant'anni dopo, nel 1970, Robert Olton a Berkeley cercò di indagare il potere dell'incubazione dei problemi. Fece risolvere un test impegnativo a due gruppi di 160 persone, dando ai primi numerose pause e tempo per distrarsi, ma obbligando i secondi a concentrarsi senza interruzioni. I risultati furono chiari: nessuna differenza di successo tra chi aveva o non aveva avuto il tempo di incubare un problema.

E riguardo il momento improvviso di visione, che illumina il problema e fornisce la soluzione già completa? Anche qui, la psicologia ne ha negato l'esistenza. In un famoso test del tedesco Karl Duncker, fu chiesto ad un gruppo di persone di trovare una soluzione tecnica a partire da pochi, semplici elementi. La soluzione non è mai emersa all'improvviso, ma come risultato di una serie di step incrementali: tentativi, confronti, proposte che, raffinati e perfezionati, hanno infine portato al risultato finale.

Questi esperimenti, insieme ad altre centinaia nel corso dei decenni, hanno irrimediabilmente dimostrato – usando le parole di Robert Weisberg, psicologo alla Temple University, Philadelphia – che è il pensiero ordinario a risolvere i problemi: e che la creatività, intesa come puro genio improvviso, nemmeno esiste:

Nonostante l'impatto delle idee più creative sia straordinario, i meccanismi attraverso i quali vengono prodotte sono assolutamente ordinari.

Mozart, quindi, non creava per magia. Abbozzava le composizioni, le revisionava, si bloccava, tornava indietro. Nessun suo capolavoro è nato come flusso ininterrotto di idee già complete e perfette. La sua abilità lo aveva reso particolarmente veloce e produttivo, ma era pur sempre lavoro ordinario. I dipinti espressionisti di Kandinsky sembrano spontanei, ma spesso sono nati dopo mesi di bozze e tentativi. I fratelli Wright non hanno improvvisamente spiccato il volo nel cielo: hanno costruito un aquilone nel 1899, poi un primo aliante nel 1900, e proseguito per evoluzioni successive fino al primo modello di aeromobile nel 1903. Persino Einstein, considerato il genio per eccellenza, dichiarò che per formulare la sua Teoria della Relatività aveva "proceduto a piccoli passi".

 

 

Il genio è nel network.

Non solo: la psicologia rifiuta anche la concezione dell'uomo singolo, del genio solitario che da solo produce innovazione con un miracolo. Ogni singolo pensiero, ancor più se parliamo di pensiero ordinario, è guidato dai passi che altri prima di noi hanno già fatto nella medesima direzione. Pensiamo ad Albert Einstein: Mach, Gauss, Riemann, Grossman, sono solo alcuni – assai meno noti di Einstein – che hanno percorso prima di lui parte del tracciato che lo ha portato a formulare la Teoria della Relatività.

L'innovazione, oggi più che mai, nasce da un network. Chi si chiude nel suo ufficio aspettando l'improvvisa ispirazione, sbaglia. Chi studia e approfondisce il lavoro degli altri, mettendolo e mettendosi in rete con colleghi e collaboratori che stanno svolgendo il suo stesso lavoro, è probabilmente sulla strada più giusta per innovare davvero. 

Paul Rand, in un testo del 1985 (siamo nell'era pre-internet: non poteva ancora conoscere davvero il concetto di network) aveva dichiarato:

La fonte dell’impulso creativo è un puro mistero. Ogni teoria sull’ispirazione deve essere considerata con inevitabile riserva. Le idee possono venire da ogni luogo, tempo e cosa. Io credo che il progettista sia un collezionista di cose, immaginarie o reali, egli accumula cose con lo stesso entusiasmo di un ragazzino che si riempie le tasche di cianfrusaglie, egli guarda con la stessa curiosità un cumulo di rottami e l’interno di un museo. Scatta istantanee, prende nota e registra impressioni su tovaglioli di carta, sul retro di una busta, su una scatola di fiammiferi o su un foglio di giornale. Il progettista è essenzialmente un onnivoro. La curiosità è il comune denominatore di tutte le sue attività e il piacere della scoperta una naturale conseguenza.