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Diritti e buon senso

Il diritto d'autore in Italia.

Di diritti d'autore, su questo blog, abbiamo parlato in più occasioni. Pur essendoci ancora parecchi dubbi riguardo l'interpretazione dell'attuale legge, alcuni punti chiave sono tuttavia fermi:

  1. l'autore esercita sull'opera il vincolo della proprietà intellettuale: a lui e solo a lui spetta decidere riguardo pubblicazione, riproduzione, comunicazione al pubblico, distribuzione, traduzione, elaborazione, vendita, noleggio, prestito dell’opera e, naturalmente, eventuale cessione dei diritti.
  2. l'autore ha sull'opera il diritto di paternità: per averla creata, viene riconosciuto come suo artefice. In virtù del diritto di paternità, chi si attribuisce impropriamente un’opera altrui di fatto compie un furto. Meno grave, paradossalmente, l’attribuirsi un’opera altrui modificandola leggermente (fosse anche solo il titolo, o i colori): sarebbe plagio, punito meno gravemente del furto. È il diritto di paternità che prevede, se richiesto dall'autore, l'obbligo per chi utilizza la sua opera di creditarne l'origine.
  3. l'autore ha il diritto all’integrità dell’opera. Ovvero, ha diritto che la riproduzione e la comunicazione dell’opera al pubblico avvenga in modo tale da conservarla così come l’autore l’ha pensata, senza modifiche che pregiudichino la reputazione dell’autore o la percezione dell’opera da parte del pubblico. Le modifiche, naturalmente, possono essere concordate e accettate dall'autore stesso, previa comunicazione.
  4. Il diritto di pentimento, infine, permette all’autore di comandare il ritiro dell’opera dal commercio se dovesse ritenerla lesiva della sua immagine o reputazione. Naturalmente, chiunque abbia acquistato in un secondo momento i diritti di riproduzione o commercializzazione dell’opera deve in qualche modo ricevere un indennizzo per il danno. Questo è l’unico diritto d’autore personale e non trasmissibile agli eredi in caso di morte dell’autore.

In ambito di creatività, non sono pochi i casi in cui questi diritti sono stati violati. Quasi tutti noi, ne sono certo, abbiamo avuto negli anni esperienza di lavori rubati, di bozze passate al cliente e poi realizzate in segreto da altre agenzie, di opere copiate, scopiazzate, plagiate. Per quanto mi riguarda, ho trovato in giro per la rete buona parte del mio "Masse Creative" sparsa qua e là in blog altrui senza alcun collegamento al sottoscritto.

È giusto e sacrosanto educare i propri clienti alla correttezza professionale nostra e nei confronti dei nostri colleghi: non si possono utilizzare immagini scaricate da Google. Non si può chiedere ad un creativo "Questa è la brochure di un nostro concorrente, fammela uguale". Non si può chiedere un sito web clonato da un altro. Non si possono rubare foto, testi, materiale senza ricevere il permesso dal relativo autore.

Non fosse altro perché esistono professionisti per ciascuna di queste cose: copywriter per i testi, fotografi per le foto, web designer per il siti web, consulenti e creativi di ogni genere. Il lavoro dell'uno non è il lavoro dell'altro, e ciascuna di queste figure ha precise competenze che la rendono, a seconda dei casi, fondamentale e necessaria alla realizzazione di un progetto su misura, dedicato specificatamente al cliente e senza, quindi, furti o plagi di alcun genere.

 

Un altro modo di ragionare.

Fatta questa doverosa e irrinunciabile premessa, tuttavia, mi sento in dovere di proporre un modo leggermente diverso di pensare.

Il fanatismo per la proprietà intellettuale genera e ha generato in passato mostri giganteschi. Molti professionisti sono ciecamente arroccati nelle loro posizioni protezionistiche da presunte grandi agenzie anni '90, chiusi nel pensiero pre-open source e assolutamente sordi alla vera profondità della dimensione social del mondo moderno. Le richieste di danni per plagi o furti, in taluni casi, assomigliano più a delle ripicche personali o a scaramucce tra poveri, che non ad una vera richiesta per presunti "danni" derivati da una indebita appropriazione di materiale creativo.

Credo sia invece opportuno, nell'ottica 2.0 in cui siamo più che immersi, imparare a ragionare in maniera alternativa quando il singolo caso ce lo permette. Perché la community dei designer moderni (esattamente come avviene per il movimento open-source, forte di una community largamente collaborativa) debba muoversi, necessariamente, su questi binari: quelli della condivisione reciproca delle conoscenze, delle capacità, delle skills. Senza svalutarsi e svendersi, ma senza restare ciechi al mondo che ci circonda.

Milioni di persone, costantemente, pubblicano materiale free: si trovano font, vettoriali, fotografie, testi, materiale dei approfondimento, video tutorial, applicazioni. Alcune cose sono interessanti, altre assolutamente superficiali e inutili. Ma è innegabile che esista un movimento di distribuzione free della cultura e della pratica legate al nostro mestiere, movimento che va supportato, allargato e sostenuto in tutti i modi possibili. E diciamoci la verità, sotto sotto ne approfittiamo tutti. Facciamo tutti un giro su Vecteezy a scaricare vettoriali, saltiamo come mosche sul miele addosso ai font periodicamente free di FontShop e magari una volta al mese scarichiamo pure la foto gratis di Shutterstock e la archiviamo.

Forse non c'è lavoro creativo dietro ad un vettoriale, una foto, un font, un template, delle icone, un tutorial, un libro? E allora perché, quando si tratta delle nostre cose, del nostro lavoro, delle nostre idee, siamo spesso assai più rigidi del necessario?

 

 

Degli esempi concreti.

Facciamo degli esempi concreti? Lo scopo non è generare rimorsi o creare generazioni di saccheggiatori di Google, beninteso; né autorizzare qualunque cliente passi di qui (ammesso che passino, dopotutto) a chiedere al suo designer di fiducia di rubare ai colleghi.  Lo scopo è far scattare in qualche modo una riflessione condivisa sulla possibilità di essere più morbidi, elastici e permissivi, talvolta, sulla questione dei diritti d'autore.

Per presentare i miei lavori di corporate design su Behance, uso spesso lo stesso template che mi sono costruito di persona: carta intestata, busta e biglietto inseriti in una cartella portadocumenti aperta. Niente di straordinario, una mezz'oretta di Illustrator e Photoshop e il gioco è fatto. Se dovessi trovare la stessa immagine su un portfolio altrui, ripulita dei miei loghi e personalizzata da un altro designer per presentarsi, cosa dovrei fare?

Se prendessero un mio packaging di una bottiglia da Behance e ne vendessero l'idea, tale e quale, ad un altro cliente, sarei furioso. Ma se la stessa bottiglia venisse presa, con l'etichetta anche solo parzialmente mascherata, ed inserita ad esempio in una più ampia presentazione ad un cliente di un arredamento d'interni di un wine-shop?

Avrebbe senso perdere ore intere della mia giornata per aggiungere watermark su ogni mia foto e lavoro in giro per la rete (auguri, ci vorrebbero giorni), per scrivere formulette para-legali al piede di ogni post, per impedire il download di foto o il copia-incolla di testi da questo blog? Avrebbe senso, quindi, insistere per essere ovunque nei social, per esserci come presenza viva di una community e aiutarci vicendevolmente a crescere (quindi: condividendo skills e conoscenze), ma pretendere tutela a tutti i costi, passando le notti a scandagliare Internet alla ricerca del singolo dannato designer ladro che ha osato rubare due righe di un mio post? Secondo la legge, sì, in tutti questi casi avrei spazio per muovermi contro l'altro designer. Ma diciamoci la verità: vale davvero la pena incazzarsi perché non mi ha chiesto il permesso? Avrebbe senso chiedere di essere creditato?

Il futuro è nella reciproca condivisione, nei diritti open source e creative commons, nella diffusione di materiale, nel superamento dei vincoli proprietari, per uno slancio collettivo verso una dimensione e una qualità del lavoro migliore. Per parafrase l'amico Sandro: la rete è un fantastico davanzale, non un polveroso caveau.